giovedì 29 novembre 2007

Il fuoco sacro del rock'n'roll

Aspettavo Adam raised a Cain dopo quasi vent'anni ed è arrivata. Aspettavo Incident on 57th street ed è arrivata, con tanto di infinito e bollente assolo di chitarra finale. I pezzi del nuovo disco dal vivo spaccano. Ma soprattutto ieri c'era di nuovo il fuoco sacro, la luce accecante del rock'n'roll. Non aggiungo altro, perché è inutile. Chi c'era sa di cosa sto parlando. E chi non c'era forse non potrebbe capire.

mercoledì 21 novembre 2007

La Terra Trema a Milano

Venerdì partirò per Milano. Che per me significa ancora casa. Pranzi e cene da mamma, la mia vecchia cameretta, lo sferragliare notturno dei tram, qualche birra con gli amici di sempre.
L'occasione è la fiera La Terra Trema al Leonkavallo, ultima tappa del percorso di movimento un tempo chiamato Critical Wine. Insieme ad altri agricoltori proveremo a portare, ancora una volta, i tempi e le storie della campagna nel centro della metropoli. Qui trovate tutte le informazioni. Come sempre mi piace molto il lavoro teorico che sta dietro a questi eventi e l'elaborazione politica che vi si cela. Qualcosa di molto lontano dall'aria fritta del Partito Democratico. Micropolitiche della resistenza le chiamano gli organizzatori. Che colgono nel segno quando vedono nel distorto rapporto fra città e campagne, fra centro e periferia, uno dei principali nodi irrisolti della post-modernità, generatore di corto circuiti fra cultura e colture, fra Terra e alimentazione, fra globale e locale, fra uomo e macchina. A tutto ciò si cercherà di rispondere attraverso "vini e vignaioli autentici, agricoltori periurbani e gastronomie autonome", come recita il sottotitolo de La Terra Trema.
Vi aspetto, dunque, venerdì, sabato e domenica all'interno dello Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo dalle 15.00 alle 22.00 per degustare, chiacchierare, riflettere e anche divertirsi.

lunedì 19 novembre 2007

Lungo il Grande Fiume - Parte terza

Dopo la Maison Chapoutier restiamo nella parte Nord della Valle del Rodano per incontrare una serie di produttori più piccoli ma egualmente molto interessanti.
GEORGE VERNAY – Condrieu.
Forse perché arrivati in ritardo all’appuntamento, ma qui l’accoglienza è decisamente più fredda. L’azienda Vernay, diretta da Paul Amsellem, è nota per i suoi Condrieu. Purtroppo i vini più interessanti sono esauriti, dunque la panoramica non può considerarsi esaustiva. In generale, però, si può affermare che lo stile aziendale è certamente orientato verso una impostazione internazionale, specialmente per quanto concerne la Sirah.LES TERRASSES DE L’EMPIRE – CONDRIEU 2005
Un classico giallo paglierino introduce a sentori di banana un po’ banali. Al naso è comunque molto pulito e fine. In bocca è morbido, corretto, senza una grande persistenza. Il viogner si offre qui nella sua mielata rotondità un po’ noiosa.
LES CHALEES DE L’ENFER – CONDRIEU 2005
Si presenta in un giallo paglierino carico. L’olfatto è subito elegantissimo e fine con una pulitissima nota di pera, di buccia di arancia caramellata, di marmellata di agrumi. In bocca ha un ottimo equilibrio fra morbidezza e acidità. La chiusura è lunga e minerale, e lascia presagire un grande futuro. Davvero un grande bianco.
LES DAMES BRUNES – SAINT JOSEPH 2004.
Un vino internazionale, una sirah che potrebbe essere australiana, sebbene a sua difesa vale la considerazione di un imbottigliamento ancora troppo ravvicinato. La tostatura del rovere è in grande evidenza. Comunque molto pulito al naso e di buona concentrazione.
MAISON ROUGE – COTE ROTIE 2004.
Un colore rosso cupo dai riflessi violacei introduce un naso pulito dove spiccano le note di spezie dolci, di pepe nero, di piccoli frutti rossi. Emerge più la sirah che la Cote Rotie, ma forse è anche la gioventù. I tannini sono comunque finissimi e precisi. Presente ancora la nota vanigliata sebbene più integrata nel frutto rispetto al vino precedente. Un esercizio di stile che risulta in fondo un po’ fine a se stesso.
VINCENT GASSE – Ampuis.
Vincent Gasse è un vignaiolo come tanti ce ne sono in Francia e in Italia. Ex insegnante in un Istituto per periti agrari, si è dato alla viticoltura biologica perché ha conosciuto e insegnato direttamente l’agricoltura chimica della “rivoluzione verde”. Un modello che considera ormai superato e dannoso. A parlarci, non sembra un integralista. Non lavora in biodinamica perché “si fa troppa fatica”, e in cantina è naturale solo perché così ha sempre fatto ed il vino che ne risulta lo soddisfa. Poi, però, ci porta nelle sue vigne, che sono piccolissime parcelle di diversi vigneti, e d’improvviso si illumina e veniamo travolti dalla sua passione per la terra.
Le parcelle, specie le prime due che ci mostra, sono proprio sopra al paese di Ampuis. Hanno pendenze incredibili. Il Rodano, enorme e fascinoso, compie una curva in modo tale che la costa vignata sia rivolta a sud, protetta dai venti più freddi (Mistral). Sembra di essere sulla Mosella più ancora che in Valtellina, con salti nel vuoto davvero affascinanti. La vendemmia qui è arte alpinistica ed i trattamenti principali vengono fatti, collettivamente e con prodotti biologici su tutte le parcelle, in elicottero. Poi, chi fa agricoltura convenzionale, se lo vuole, tratta ulteriormente le proprie vigne. Quando ha iniziato, Gasse era il primo a fare agricoltura biologica ad Ampuis e, ancora oggi, è fra i pochissimi. I suoi vini sono vini veri ma anche vini tecnicamente ineccepibili.
In cantina, un classica cantina da vigneron francese, dapprima ci fa assaggiare alcune prove di botte che subito si distinguono per autenticità e dirittura. Poi ci apre alcune delle poche bottiglie rimaste di annate precedenti.
COTE ROTIE 2001
Il colore è un rosso rubino classico. L’olfatto è invaso da note di pepe verde, rosmarino affumicato e di polvere di cacao. Poi sotto alla speziatura sembra emergere una interessante vena minerale, di grafite e asfalto. In bocca è stupendo per la freschezza quasi balsamica che lascia in bocca, risultante di tannini forse ancora un pò spigolosi e di una acidità ben presente e sapida. Un vino che può davvero invecchiare a lungo.
CONDRIEU 2003
E’ un viogner classico dal naso esplosivo di miele di acacia, confettura di pesca ed albicocca che in bocca delude per l’eccessiva morbidezza. Il vino, sebbene secco, risulta quasi dolce, stanco, senza alcuna presenza di sali minerali. Qui forse c’è di mezzo anche l’annata.
DOMAINE LIONNET – Cornas.
Lionnet è un altro vigneron classico, proveniente da una famiglia di viticoltori a Cornas dal 1575. La sua azienda produce un unico vino in 10.000 esemplari all’anno, circa. Siamo di fronte a quella realtà contadina francese viva, pulsante, fiera della propria storia. Una storia mai rinnegata per un salto verso l’industria o il mito cittadino. Sono le migliaia di piccole aziende come questa a costituire l’ossatura di un sistema-vino che, al contrario del modello degli chateaux bordolesi, regge la competizione globale attraverso una qualità distintiva, la fede nel terroir e la capacità di rivolgersi ad una clientela privata che raramente li tradisce, anche nelle annate meno fortunate.
Gli assaggi da barrique del Cornas 2005 ci fanno scoprire l’essenza del crus di Cornas, il vino più “sudista” del nord del Rodano. E’ un rosso cupo, concentrato, con spiccate doti di invecchiamento (anche 20 anni) in cui la sirah emerge come vitigno in perfetto equilibrio tra finezza e potenza, meno minerale che in Cote Rotie, bensì più grasso e morbido.
CORNAS 2004
Un vino che appare un po’ chiuso. Ci spiega Lionnet che i Cornas vanno bevuti molto giovani oppure almeno dopo 5 anni, poiché attraversano una fase “intimista” nel passaggio fra il fruttato giovanile e i sentori terziari della evoluzione. Si apre comunque su fini note di pepe nero, curry dolce, resina. Poi, delicatamente, si fanno strada frutti di bosco appena accennati. In bocca è molto buono, già in equilibrio perfetto fra alcool, tannini e acidità. Comunque la chiusura è verticale ed elegante. E’ il vino di un vignaiolo di razza.

giovedì 15 novembre 2007

Vini di vignaioli - impressioni

La fiera è creciuta ancora. A sensazione, però, il maggior numero di produttori non si è tradotto in un aumento di presenze. Come sempre ottimo il cibo durante i pranzi comunitari, occasione eccezionale per scambiarsi opinioni fra vignaioli, specie in questo periodo post-vendemmiale. Davvero molto interessante è stato il convegno del lunedì, partecipato ed intenso. E' emerso chiaramente dal lungo intervento di Antonio Onorati come le politiche dell'Unione Europea stiano portando l'agricoltura sulla strada della concentrazione industriale dell'offerta. Al tempo stesso, però, sono emerse le grandi potenzialità dei piccoli vignaioli "artigiani", capaci di imporre la forza del "terroir", dei vitigni autoctoni, della propria irripetibile personalità. Questo dualismo insanabile tra grande industria e piccola viticoltura di qualità sarà la cifra dei prossimi anni, ponendo una grande parte delle aziende di medie dimensioni di fronte a scelte difficili ma cruciali. Per quanto concerne i vini, mi sono piaciuti molto, mi limito a vini che conoscevo meno, i vini dei ragazzi di Cà de noci (uva Spergola e Lambrusco), assolutamente piacevoli e ricchi di freschezza, i vini dell'azienda friulana I Clivi, specie il Tocai 1997 e 1999 e il Merlot 2000, il sauvignon della Cascina Zerbetta, acidissimo, il bordeaux 2003 di Chateau Planquette, concentrato ma non stucchevole, e il Macon Cruzille 2006 di Julien Guillot (da vigneto impiantato nel 1929).
In generale, ho assaggiato vini molto più puliti e "corretti" rispetto ai primi anni, segno evidente che anche nel mondo dei vini naturali la ricerca di una certa bevibilità, giusta e necessaria, si stia imponendo. Speriamo che non si traduca in un eccesso di conformismo.



sabato 10 novembre 2007

Ancora pensieri sparsi

Fermentazioni ancora in moto, infinite. Spero di uscirne indenne. Nuova offerta di pubblicazione per il mio romanzo "La musica vuota", ma sempre con clausola di acquisto di copie. Ci penserò su. Letture: "Gli Autonomi" edito da DeriveApprodi, molto bello e ostico, su quella incredibile follia collettiva che è stata l'Autonomia Operaia intorno al 1977; sono a metà de "L'audacia della speranza" di Barack Obama. Finora davvero un grande libro. Una prosa asciutta e decisa. Un politico vero. Magari ne parlerò più diffusamente dopo averlo finito. Musica: l'ultimo di Ryan Adams è un bel disco. Ancora: sto tenendo un corso sulla "Conoscenza del vino" il giovedì sera, a Cupra. Bella classe. C'è interesse, c'è una risposta, c'è una attenzione che non è da fighetti che vogliono darsi un tono al ristorante. Capire il vino per diventare consumatori più attenti ed informati. Questo è il senso, credo. Olive: raccolto mai così scarso. C'è appena appena un pò di olio per casa. Infine la classica cena/degustazione di fine vendemmia. Stappate molte bottiglie, cito solo il Barolo "Brumate" 1999 di Roberto Voerzio e il Gewurztraminer Vendemmia tardiva 1999 di Trimbach. Buono il primo, modernista, concentrato, ben pieno di frutto. Ci ha ricordato un bel vestito di marca; considerando anche il prezzo è mancata l'emozione che regala il Nebbiolo "di sartoria". Quello vero. Quello di una volta. Grandissimo il secondo. Con la sua dolcezza non banale, con la sua vivace struttura acida e minerale, con la sua incredibile freschezza e pulizia olfattiva. Per la serie: vino aromatico dalla straordinaria finezza.

sabato 3 novembre 2007

Lungo il Grande Fiume - Parte seconda

Ecco la seconda parte del reportage sulla Cote du Rhone 2006, in attesa di partire a fine novembre con destinazione Jura e Chablis. Le degustazioni sono state effettuate dal sottoscritto in compagnia di Alessandro Fenino, Andrea Bianchin, Fabrizio D’Auria. Questa seconda parte è incentrata sulla Maison Chapoutier a Tain l’Hermitage.

Alle ore 10.00 entriamo nei locali della Maison M. Chapoutier, uno dei mostri sacri della viticoltura della Cotes du Rhone. Alcuni di noi ancora ricordano una memorabile degustazione di qualche anno fa, dunque le aspettative sono molto elevate. Abbiamo fissato un appuntamento dall’Italia per cercare di capire a pieno i segreti di questo colosso della agricoltura biodinamica.
Il sommelier Sebastien Dreville, uno dei responsabili dell’accoglienza, ci guida dapprima nei leggendari vigneti della collina dell’Hermitage. Inizia a parlare delle ere geologiche che l’hanno creata e della fondamentale divisione in due grandi parti, divise da una frattura geologica. A ovest predomina il granito, ultimo bastione del Massiccio Centrale, in molte delle sue differenti articolazioni. A Est è il calcare proveniente dalle Alpi a farla da padrone. I vigneti sono impressionanti, per la pendenza, le densità di impianto, la scarsità di sostanza organica. In certe parti le radici affondano dentro una vera e propria “sabbia di granito”.
“Il terroir è la combinazione del suolo, del clima - che segna il millesimo - e della conoscenza che deriva dalle tradizioni. Senza l’uomo non c’è il terroir. L’uomo fa il terroir. O lo distrugge”. In questa frase di Michel Chapoutier, riportata su ogni pubblicazione della maison, sta lo stile della azienda. In una sorta di umanesimo che vede l’agricoltura come un fatto culturale, dove è fondamentale l’interpretazione umana del dato naturale, risiede la sua caratteristica più profonda. Per cui la biodinamica diviene un mezzo per produrre grandi vini di territorio, e non il fine ultimo su cui basare tutta la propria azione. Così accade che non in tutte le vigne dell’azienda si faccia biodinamica. E che in cantina non si disdegni l’uso di lieviti selezionati, se l’uso dei lieviti indigeni per qualche ragione (annata, stato delle uve, tipo di vigneto) risultasse distorcere l’espressione del terroir. Stessa cosa per l’uso della solforosa, evidente anche in degustazione, specie sui bianchi, e legato al mantenimento di una incredibile longevità dei vini della azienda.
Sono considerazioni che fanno storcere il naso ai puristi dei vini naturali/biodinamici ma che nel contesto di una azienda che produce nel complesso milioni di bottiglie meritano, a nostro avviso, una certa considerazione. E’ un approccio interessante soprattutto in confronto a una realtà italiana sempre più dominata da una netta contrapposizione fra grandi aziende dove regna la chimica più sfrenata e piccoli viticoltori in cui l’idea forte di vino naturale può condurre a volte ad una eguale standardizzazione provocata dalle estreme ossidazioni, da macerazioni eccessive, da forti riduzioni. Con relativa perdita delle caratteristiche del terroir.
I vigneti della maison vengono tutti separati in parcelle a seconda del tipo di suolo/esposizione e le uve ottenute vengono vinificate separatamente. I grandi vini sono ottenuti da parcelle di vigneto (alcune dei quali con viti pre-fillossera) sulle quali non si opera alcun taglio. In generale i bianchi vengono da suoli più calcarei, e tale regola è stata riscontrata anche per altri produttori e in altre zone della denominazione Cotes du Rhone.
La visita alla cantina (una delle quattro della maison, la più a nord e la più piccola) conferma l’idea di una impostazione tradizionalista (uso di grandi tini di legno aperti per la macerazione dei rossi) senza alcuna predominio della tecnologia, ma di una grandissima attenzione ai particolari e alla tecnica enologica. In generale, i vini rossi compiono una breve macerazione pellicolare prima dell’avvio della fermentazione alcolica tumultuosa, con una diraspatura solo parziale delle uve a seconda del grado di maturazione dei raspi (entrambe queste caratteristiche vengono confermate anche in altre realtà). Nei bianchi viene privilegiata la pressatura soffice di uve intere senza alcuna macerazione.
La degustazione dei vini aziendali viene suddivisa in due giornate. Il primo giorno ci vengono sottoposti alcuni dei più importanti vini della azienda. Il secondo giorno assaggiamo i vini più semplici. E’ possibile affermare che si tratta di prodotti dallo stile inconfondibile. Dove, accanto alla incredibile pulizia e perfezione tecnica, è possibile ritrovare l’espressione distinta dei vitigni, dei suoli e delle stagioni in un continuo susseguirsi di complessità e diversità di caratteri. Questo ci ha stupito in particolar modo nei prodotti più accessibili (sia in fatto di gusto che di portafoglio) dove è stato davvero possibile elevare in modo emblematico a pietra di paragone, la sirah del Saint Joseph Deschants 2005, la grenache del Rasteau 2004, il viogner del Saint Peray Les Tanneurs 2005. Oppure il Crozes Hermitage Petite Buche blanc 2005 nella sua inconfondibile sapidità calcarea e il Tavel Beaurevoir rosé 2005 con un naso finissimo di mora e fragola.
Ancora, tale azienda pare confermarsi emblema della zona per il generale minore impatto destato in noi dai vini bianchi. Cosa strana in Francia, ma che contraddistingue una regione in cui Viogner, Marsanne e Roussanne, accanto a sensazioni olfattive sempre fini ed eleganti, tendono però a mancare sempre di quella vena acida che conduce al minerale.
INVITARE – CONDRIEU 2005
100% Viogner.
Al naso subito pulitissimo e fresco, si distingue per una nota spiccata di pera. Poi di frutta secca e albicocca con un ritorno balsamico molto intrigante. L’attacco in bocca è molto pulito, sapido con una discreta acidità e la totale assenza di note vegetali o amare. Il vino è secco, dritto, si apre solo alla fine su note agrumate. Manca, forse, di una mineralità spinta al palato, compensata però da una materia perfettamente integra.
CHANTE ALOUETTE - ERMITAGE 2004
100% Marsanne.
E’ un vino più morbido del precedente. Emerge una nota di solforosa appena accennata a coprire sentori di miele e pasticceria secca. In bocca il vino è morbido ma lunghissimo. Il frutto (fico e albicocca accanto a note mielate) è ancora un po’ coperto dal legno e da sentori sulfurei. E’ un vino che ha una vita lunghissima davanti e che mostra solo parte della sua potenzialità.
DE L’OREE – ERMITAGE 2001
100% Marsanne.
Vino proveniente da vigne che hanno fra gli 80 ed i 100 anni con una resa per ettaro di 15 hl. Al naso si presenta immediatamente con una piacevole nota sulfurea di terra, quasi tartufata. Poi si apre su note di pasticceria secca, su sentori affumicati, di miele di acacia che evolve verso il caramello. In bocca è concentrato, con una persistenza infinita. Vi è una morbidezza forse eccessiva, condotta anche da note di tostatura di legno. Ma poi i continui ritorni di agrume dolce, di albicocca secca e di miele tendono a dominare sul rovere, sebbene l’incredibile lunghezza non sembri essere supportata da una struttura acida/sapida adeguata.
LES BECASSES – COTE ROTIE 2004
100% Sirah.
Il vino si presenta di un rosso rubino acceso, fiammante. Al naso è dapprima un po’ chiuso. Quando si apre lo fa su sentori animali, poi di pepe e di ciliegia. Quando si apre completamente prendono il sopravvento sentori elegantissimi di ribes e uva spina. E’ un vino dalla straordinaria finezza che in bocca appare concentrato ma setoso, i cui tannini - pur ancora giovanissimi - sono già dolci e dove l’amaro è completamente assente. La chiusura in bocca è secca e senza alcun cedimento. Al naso prorompono note di pepe verde, di origano e di chiodo di garofano, quasi balsamiche, che lasciano poi il palato fresco e pulito. E ‘un vino con almeno dieci anni di vita davanti.
LA SIZERANNE – ERMITAGE 2004
100% Sirah.
E’ uno dei vini simbolo dell’azienda. Un Hermitage che proviene da parcelle poste nella parte bassa della collina e che vede una dominanza di sedimenti limosi e argillosi alluvionali del Rodano. In alcune parcelle vi è predominanza di granito, in altre di calcare; un terroir meno estremo rispetto alle altre parcelle in Hermitage e che, quindi, necessita di un invecchiamento inferiore per esprimersi.
Al naso emerge subito in modo più netto rispetto al vino precedente. Viola, petali di rosa appassita, prugna lasciano presagire un vino che si presenta già maturo. In bocca è pieno, concentrato. I tannini sono impetuosi ma assolutamente morbidi. Una nota sapida conduce a un finale un po’ amaro, forse sulfureo. Nel ritorno al naso l’amarena lascia il posto ai tipici sentori speziati della sirah dove spiccano il curry ed il pepe nero.
LA MORDOREE – COTE ROTIE 2000
100% Sirah.
Il colore è di un rosso rubino scuro. All’olfatto è subito pulitissimo. I ripidi terrazzamenti della Cote Rotie offrono sentori intriganti: inchiostro, sangue, viola. Poi è la sirah a regalare note finissime di pepe e zenzero assieme a sentori di ginepro, di cannella, di liquirizia. Poi dopo qualche momento evolve ancora verso sentori di pasta di olive, di cuoio e di polvere di cacao. In bocca ha tannini memorabili, nel pieno della loro potenza ma già vellutati. E’ un vino terroso, caldo, ma di una finezza assoluta. Verticale nonostante la struttura tannica e l’alcool, non concede alcuno spazio ad una facile morbidezza ma è anzi un inno alla complessità. Un vino che ha davanti a sé quindici anni di gloria.
LE MEAL – ERMITAGE 2000
100% Sirah.
Hermitage proveniente da parcelle poste circa a metà della collina, dunque con terreni meno sciolti, ricchi di scheletro, roccia madre, cristalli di quarzo. Uno scontro di ere geologiche dominato dalla lotta fra il granito ed il calcare scavati dal Rodano.
Il colore del vino è un rosso cupo, quasi impenetrabile. E’ subito liquoroso, con sentori terziari di frutta sotto spirito. La speziatura è qui chiusa, quasi affumicata. Il naso è complesso ma ancora intimo, introverso. Elegante. Lasciato nel bicchiere esprime note finissime di cioccolato fondente e tabacco, di pepe e di mirtillo. In bocca è pieno, potente e caldo. La maestosa concentrazione è comunque fine, non stanca, invita anzi alla beva in virtù di una mineralità sotterranea che rende il vino armonico. Un grande vino che è solo all’inizio di una lunga vita.