lunedì 14 aprile 2008

La maratona

Ieri ho corso la mia seconda maratona, a Torino. Nonostante l'allenamento scarso e il non perfetto stato di forma è andata bene, ho chiuso sotto il mio personale in 3 ore e 56 minuti, secondo più, secondo meno. Rispetto alla prima esperienza, a Roma due anni fa, ho distribuito meglio lo sforzo. Non che non sia stata dura, anzi. L'esperienza mistica, psichedelica, degli ultimi chilometri di una maratona credo sia sempre la stessa, nonostante l'esperienza, nonostante l'allenamento, nonostante l'età. Perché la sofferenza è parte del gioco.
In molti mi hanno chiesto e mi chiedono quale sia la ragione per questa sofferenza. La risposta è complessa. La maratona è greca, come la storia dell'uomo occidentale. La maratona è una sfida ai propri limiti, è un viaggio alla conoscenza di se stessi e della propria forza interiore. Riassume in sé molte delle caratteristiche che accomunano le grandi avventure, dall'alpinismo alle traversate dell'oceano. La costanza nell'allenamento, la volontà nel superare i momenti difficili, la paura di non farcela, tutto è parte di un lungo viaggio verso il limite: c'entra Ulisse, c'entra la volontà di potenza, c'entrano la tragedia greca e la catarsi, c'entra la competizione e c'entra la soliderietà coi tuoi simili, sofferenti come te. La maratona è una grande, stupenda esperienza spirituale prima che fisica. Chi l'ha corsa sa cosa intendo. Sa cosa si prova negli ultimi chilometri e a quali energie si deve fare affidamento. Sa cosa si prova dopo che tagli il traguardo, le contraddizioni che ti si scatenano dentro. Che giuri di smettere di correre e già pensi alla prossima.
Dopodiché, proprio perché parte della storia occidentale, la maratona è anche sponsor, affari, starlettes, deejays, gara, e tutto ciò che fa spettacolo. Ed anche questo è parte del gioco, con buona pace di Filippide.

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