venerdì 24 luglio 2009

La promessa

Rene van diemen Rome
La realtà è che non bisognerebbe mai mancare. Lo dice anche Ermanno Labianca in un bel post sul concerto torinese (che è possibile leggere su Backstreets.com). Aggiungendo, veramente cattivissimo, che se ti sei perso Drive all night a Torino puoi anche smettere di seguire Springsteen, ritirarti e passare il resto della tua vita a pescare o a cercare perle sul fondo del mare… Io ci aggiungo anche Streets of fire a Udine, giusto per farsi più male.
Sono, però, perversioni e fanatismi dai quali sto lentamente e con grande fatica cercando di disintossicarmi. Sia perché ci sono un lavoro ed una famiglia che non posso e non voglio lasciare per giorni e giorni, sia perché a sentire i veri die hard fans quasi ogni concerto è il migliore e quasi ogni scaletta è la più bella. Salvo essere smentiti al concerto successivo.
Cerco quindi di dimenticare i miei conti ancora aperti, dopo 24 concerti, con mr. Springsteen (racin’ in the streets, drive all night, stolen car ed una impossibile the price you pay…) e provo a fare un ragionamento razionale. In questo momento un concerto di Springsteen & ESB è ancora il miglior live act rock in circolazione. Inarrivabile per durata, potenza, ritmo, precisione, repertorio. Punto.
Premesso questo, sappiamo poi che Bruce è in grado di fare concerti molto diversi uno dall’altro per scaletta ed intensità ma tutti di un livello altissimo. Le differenze sono minime e soprattutto sono soggettive e relative alle sensibilità ed ai gusti di ciascuno. Trovo quindi piuttosto inutile stare a disquisire ore, giorni, anni su quale concerto sia stato il migliore, quali scalette più azzeccate, quali tours più indimenticabili. Anche io ho le mie preferenze ma di ogni concerto ho ricordi ed emozioni belle e forti. 
Il concerto di Roma di domenica scorsa, ad esempio, ha avuto una scaletta meno incisiva rispetto a Torino ed Udine, eppure è stato un concerto favoloso. La prima ora addirittura devastante per intensità, senza pause, senza fronzoli, con una Outlaw Pete incredibile, una Seeds pazzesca, più grande di quella a Torino 1988, con una Raise your hand integrale e una Pink Cadillac tutta da godere. La dedica all’Abruzzo è stata toccante, American Skin, suonata solo in Italia e in questo particolare momento, è un messaggio chiaro e netto sulle politiche della sicurezza e sul razzismo. Max Weimberg era in stato di grazia, così come un Big Man immobile o zoppicante ma che ha suonato divinamente. Certo, poi dalle richieste sono uscite cose un pò sconsiderate visto il contesto ma in un concerto di tre ore e con 28 pezzi, francamente ci può stare tutto, credo. La band e la belva feroce erano quelle che avevo lasciato un anno ed un giorno prima nel memorabile concerto di Barcellona a chiusura del tour europeo.
Risolta, dunque, la mia crisi invernale? Non del tutto.
I concerti sono davvero imperdibili. Arrivo a dire fra i migliori di sempre. Basti sentire questa Something in the night a Francoforte o quasiasi altro concerto di questo tour estivo (o del tour dello scorso anno). Bruce canta in modo stellare e la band è pazzesca, sera dopo sera dopo sera. Ciò non toglie che non riesco a vedere più una coerenza artistica in ciò che sta facendo Springsteen. E la coerenza è uno dei tratti che ha contribuito negli anni ’70 e ’80 alla costruzione del suo mito. La faccenda delle richieste, divertente in un primo momento, è diventata infatti il nucleo centrale dello show, il che muta completamente l’idea stessa di spettacolo. Perché non c’è più un artista che dà un taglio allo show, un concept, una linea interpretativa, ma ci sono, invece, una serie di pezzi e di “chicche” più o meno rare che escono dal cilindro su richiesta, stile juke-box. Così l’idea di questi show a me pare quella di un grande calderone di puro rock’n’roll, probabilmente il migliore in circolazione, che mischia greatest hits springsteeniani al meglio dei classici rock, soul, punk della storia e da cui esce una sintesi di 40 anni di musica pop. Figata totale da un certo punto di vista. Ma da un altra visuale ci si potrebbe chiedere quale sia il senso dell’operazione, artisticamente parlando. 
Io amo lo Springsteen che osa. Che incide Nebraska. Che a Torino suona Born to run acustica e indispettisce chi voleva The River e Thunder road sparando soul music da antologia e raccontando i fantasmi dell’amore. Che lascia a casa la band e chiede il silenzio sui pezzi di Tom Joad. Che fa un tributo a Pete Seeger nel pieno della amministrazione Bush. Forse sono incontentabile. Ma non mi piacciono i “greatest hits”. Non mi piacciono le operazioni a rischio zero. Non mi piacciono le star autoreferenziali, e Springsteen non lo è mai stato.
Dopo il fantastico Magic tour c’era bisogno di una pausa. L’ho detto e lo ribadisco. Pausa non è stata. E’ uscito un disco contraddittorio, ma con una certa linea pop orchestrale, a suo modo interessante e coraggiosa. Ma di questo disco sostanzialmente Bruce suona solo 2 o 3 pezzi a sera. Non era un disco da stadio, non era un disco per questo tipo di esibizioni. Ha senso l’operazione? Non lo so.
Io seguo Springsteen da quasi 25 anni. Ho goduto come una scimmia urlatrice a Roma. Però - forse - rispetto alla centesima Bobby Jean e alla settantesima Born to run avrei preferito una proposta live di questo disco in teatro, magari con una orchestra. Oppure, se dobbiamo omaggiare il passato, un concerto diviso in due parti con pezzi di Working on a dream e Magic nella prima e l’intera esecuzione di un disco storico nella seconda. Oppure se proprio vogliamo esagerare, un vero concerto concept sulla recessione che andasse da Darkness attraverso The river, Nebraska e Born in the USA fino al Fantasma. Sarebbe stato molto, molto, molto rock ugualmente, ma con un senso artistico immensamente superiore.
Ma in fondo sono solo riflessioni assurde. La realtà è che se il rock and roll non ha più molto da dire, i concerti di questo personaggio e dei suoi compagni di strada danno ancora senso a tutto quanto: alla promessa che è racchiusa in una chitarra elettrica, alla polverosa strada che abbiamo da correre.

martedì 21 luglio 2009

Il Brunello un anno dopo

E' di questi giorni la notizia dei rinvii a giudizio per lo scandalo chiamato "Brunellopoli", cioé del Brunello di Montalcino tagliato con quantità variabili di uve non autorizzate dal disciplinare. Sono coinvolti nomi grossi ed importanti dell'enologia italiana. Qualcuno ha già patteggiato, milioni di litri già sono stati declassati a IGT Toscana, il processo chiarirà il resto. O forse no.
Quello che a me colpisce, però, è il consueto atteggiamento italiano, ipocrita e gattopardesco, di fronte ai problemi. Ricordiamo tutti tangentopoli. 
Bene. Sta accadendo la stessa cosa. Ci si divide fra garantisti, innocentisti, giustizialisti e si insiste a guardare il passato, senza capire come uscirne. Che il sistema degli appalti in Italia fosse marcio e che tangentopoli lo abbia mostrato al mondo è un fatto. Il problema è che quasi vent’anni dopo ci si continua a dividere fra garantisti e giustizialisti e, nel frattempo, le regole (il sistema) sono sostanzialmente le stesse ed il marcio pure. 
Brunellopoli sta andando nella stessa direzione. Credo che nessuno che sia in buona fede possa negare che il sistema fosse marcio: bastava mettere il naso in alcuni bicchieri. Spesso bastava guardare il colore di certi Brunelli. Lo scandalo è scoppiato ed ora ci si divide sulla verità giudiziaria. A me – come produttore – interessa, però, molto di più, capire come sia stato possibile arrivare a tanto. A me interesserebbe che qualcuno (i produttori stessi? il Ministero? le associazioni dei consumatori?) sfruttasse l’occasione per appurare le responsabilità istituzionali e cambiare il sistema delle certificazioni e dei controlli. O perlomeno mi interesserebbe che si aprisse un dibattito sulla questione. Se devono intervenire la guardia di finanza o la procura per appurare che le certificazioni della più importante DOCG italiana erano farlocche significa che è potenzialmente a rischio il futuro del vino italiano. Eppure sembra prevalere l’attenzione sul processo, sui nomi coinvolti, sui retroscena. 
E le commissioni di degustazione della Camera di Commercio che hanno garantito quei vini? E il Consorzio che doveva controllare? E i funzionari regionali che autorizzavano i vigneti? E tutti i critici che incensavano quei vini palesemente fuori regola? Un intero sistema non ha funzionato ma il sistema è ancora perfettamente integro.
Il problema non è solo Montalcino. Il problema è che in tutta Italia le commissioni di assaggio stanno bocciando vini di produttori che seguono la tradizione e promuovendo vini dal gusto internazionale; il problema è che in tutta Italia i produttori pagano i Consorzi per i controlli e i controlli o non vengono fatti o vengono fatti a chi non è allineato; il problema è che ci sono ancora migliaia di ettari piantati illegalmente in Italia e chissà con quali varietà; il problema è che quei giornalisti che incensavano i brunelli al peperone sono tutti ancora al loro posto e spesso vanno in giro per l’Italia a raccontarci come dobbiamo fare i vini.
Questa è l'Italia. 
Nel frattempo il sottoscritto, microscopico vignaiolo, in due anni ha ricevuto cortesi visite e controlli (tutti ovviamente senza conseguenze) da parte di: Agenzia delle entrate, Consorzio di Tutela (due volte), Repressione Frodi, oltre a una bocciatura in Commissione di assaggio CCIAA. E' un caso? O c'è qualcuno cui sto particolarmente a cuore? 

venerdì 17 luglio 2009

Odio l'oidio

Annata difficile per i trattamenti anticrittogramici. Pareva un anno da peronospera ed invece siamo impestati di oidio, sebbene solo sulle varietà rosse. Non l'ho mai capito, l'oidio. Arriva quando vuole, produce danni pesanti sui grappoli e soprattutto sopravvive all'inverno e, dunque, si diffonde anno dopo anno divenendo cronico. Brutta storia. Ci saranno da fare delle selezioni atroci. 
Proverò in post-vendemmia un "antagonista" biologico, l'ampelomyces quisqualis, che è a sua volta un fungo in grado, però, di contrastare le spore dell'oidio.
Per il resto il vigneto è bello, con una parete fogliare che non si vedeva da tempo, frutto della stagione umida. Il carico di uva è equilibrato, che per me significa poca uva ma ben distribuita. Il nuovo vigneto, quello del koiné, è spettacolare ed ha già cacciato moltissimo: ci abbiamo dedicato tempo e fatica, specie Giovanni, come si deve alle giovani creature.
Oidio bastardo permettendo ci sono tutte le premesse per una buona annata.  

venerdì 10 luglio 2009

Temporali estivi e musica dal vivo

Da quando l'estate è ufficialmente iniziata si sono alternati temporali pressoché quotidiani ed umidità equatoriale. Veramente un tempo di merda, che sta creando alcuni problemi a noi vignaioli biologici (vedi alla voce "frequenza dei trattamenti") così come agli organizzatori di feste, sagre e festival musicali. Questa estate, inoltre, segue una primavera più calda della media storica. Cliccando qui è possibile trovare una approfondita analisi del meteo primaverile che conferma quanto stiamo vivendo: un clima del tutto fuori norma.
E' andata bene, invece, ieri sera alla prima del San Severino Blues Festival. E' un festival che seguo oramai da molti anni sia perché la qualità dei concerti è davvero molto alta, sia per i luoghi scelti per i concerti, sempre molto suggestivi. Una bella serata davvero estiva (tanto per non smentirci stasera invece ri-piove), una splendida atmosfera, pure una lunghissima stella cadente ad inizio concerto. 
In realtà, però, mi aspettavo di più da Joan as police woman. Amo i suoi dischi, davvero perfetti nel loro genere, e quella voce così rarefatta e suggestiva. E pure ieri sera mancava qualcosa. Capisco la tendenza di certa musica recente a semplificare, togliere, levigare. Ma dal vivo bisogna avere una forza enorme per poter reggere certe scelte, un carisma ed un talento fuori dal comune. Joan Wasser è certamente talentuosa, ha una voce intrigante che a volte ricorda PJ Harvey, altre volte Patti Smith, altre volte Bjork ma in realtà è solo se stessa. Con Patti Smith condivide gli inizi punk, la vitalità di New York, la condivisione di percorsi artistici e musicali con personaggi di grande spessore. Le analogie, però, si fermano qui. Dal vivo c'è un abisso di personalità fra le due. Il concerto è stato piacevole, a tratti intenso, ma piuttosto monocorde, con una dinamica debole ed una voce che resta suggestiva ma perde di spessore e di presenza. Molto belle, invece, le armonie vocali create con i due musicisti che l'accompagnano, a confermare come certe cose di fine anni sessanta (es. CS&N) siano ancora fondamentale ispirazione per i musicisti di oggi.

lunedì 6 luglio 2009

Ancora su Musica Distesa

Così è finita anche stavolta. Rapidamente, dopo mesi di preparativi. La manifestazione è riuscita, nonostante il cattivo tempo ed i conseguenti problemi tecnici ed organizzativi. Nonostante la proposta di quest'anno, certamente ancora più difficile e di nicchia.
La mostra di Alessandro Grazian, inaugurata il 22 giugno, è stata frequentata da quasi 300 persone lungo tutta la settimana. I quadri sono davvero d'impatto e l'allestimento, molto originale ha rafforzato l'effetto scenico. 
La serata degli emergenti è stata rovinata dalla pioggia incessante che non ha mai smesso di cadere, e pure si è creato presso il circolo ARCI Cs di Angeli di Rosora un bell'ambiente, intimo e raccolto.
Grande successo, invece, per la serata in ricordo di De André, alla Fornace di Moie. Più di 150 persone, molte in piedi, per uno spettacolo scritto per l'occasione da me e mio fratello e recitato dagli attori Gioia Tangherlini e Massimiliano Bedetti (oltre, ovviamente, alle canzoni ed alle musiche suonate da Giuliano). Davvero una bella serata, di grandi e vere emozioni.
Poi il consueto valzer di concerti, tuffi in piscina, salsicce notturne, birre gelate, emozioni musicali, vini buoni. Il tutto un pò rovinato dalla pioggia caduta fino alle 18.00 del venerdì e del sabato, e causa inevitabile di ritardi e nervosismi vari. Però è andata, con una stima di circa 500/600 persone nell'arco delle tre giornate/nottate. 
Da sottolineare: venerdi il bel concerto dei Silvia's magic hands, cocktail di blues e psichedelia e fango e simpatia.

Sabato l'ottimo e caldissimo set dei due pazzi siciliani Il pan del diavolo, seguiti da un grande concerto di Ettore Giuradei, ispirato e tirato. 


Per chiudere, alla domenica, l'ottima atmosfera creata da Thony, voce davvero interessante ed emozionante, ha introdotto il reading di Emidio "mimì" Clementi, accompagnato alla chitarra dal bravissimo Stefano Pilia. Grande pathos, parole che arrivavano nel silenzio totale de La Distesa, poche luci ad illuminare il palco immerso nella natura, alcune foto a raccontare, insieme a voce e musica, la storia di Matilde e dei suoi tre padri. 




venerdì 3 luglio 2009

Terre Silvate 2008

Ieri ho ricevuto uno dei più bei riconoscimenti da quando faccio vino. No, non la constatazione di mirabili profumi o l'assegnazione di altissimi punteggi. Niente di tutto questo. Semplicemente mi ha fermato un cliente, mentre camminavo lungo il Corso di Jesi, e mi ha fatto i complimenti per il Terre Silvate nuovo. Aggiungendo: "si beve benissimo, un bicchiere tira l'altro!"
Questo è il vino naturale come lo intendo io. Un vino che si lascia naturalmente bere.