mercoledì 2 settembre 2009

Gli economisti, brutta razza.


In agosto ho letto un paio di buoni libri. Qualunque cosa succeda è il libro del figlio di Giorgio Ambrosoli, quel Betò conosciuto al Liceo Manzoni, a Milano, con cui ricordo di aver condiviso gite di classe e un pò di politica liceale. Il libro è scritto molto bene, alterna un preciso e puntuale discorso storico sulla vicenda Sindona/Ambrosoli ad un piano più personale ed intimo, toccante ma sempre ben calato nella vicenda, senza alcun cedimento retorico o banalizzante. Sullo sfondo emerge l'Italia di quegli anni. Così simile, e così diversa, nei suoi difetti e nei suoi problemi, all'Italia di oggi. A cominciare da un intreccio fra politica ed economia troppo spesso malavitoso.
Estate 2009 davvero difficile per gli economisti, che pagano la crisi e le errate previsioni degli anni passati. Le critiche vengono da lontano e rivolte da più parti, ma negli ultimi mesi si sono intensificate con la "condanna" al processo istruito al Festival dell'economia di Trento, con diversi articoli su blog e giornali, con gli strali del Ministro dell'economia Tremonti che ha recentemente intimato il silenzio all'intera categoria. 
Processo agli economisti è un libro che racconta la disfatta della categoria, facendo chiarezza su alcuni lati oscuri, mettendo in luce le gravi incongruenze di una scienza che scienza del tutto non è. Spesso con una vena ironica che rende il libro anche assai piacevole. Specie quando riporta i giudizi e le frasi dei vari "guru" del neoliberismo e del "mercatismo" degli ultimi anni.
Così, ad esempio, parlò Francesco Giavazzi, già mio professore di Politica Economica in Bocconi, stimato editorialista del Corriere, più volte candidato alla poltrona su cui siede Giulio Tremonti: "La crisi del mercato ipotecario americano è seria, ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria generalizzata. Nel mondo l'economia continua a crescere rapidamente. La crescita consente agli investitori di assorbire le perdite ed evita che il contagio si diffonda" (il 4 agosto 2007). Nemmeno Tremonti, però, può sorridere. Economista proprio non è, ma nemmeno lui, infatti, ne esce granché bene.
Quanto a me, io il mio processo agli economisti l'ho fatto una quindicina di anni fa. Quando, più o meno dopo gli esami di macroeconomia avanzata ed econometrica, mi sono trovato a chiedermi quale fosse il senso di tutte quelle complicatissime formule, equazioni ed integrali, e se davvero quella fosse la strada per capire come funzionasse il mondo. E magari per migliorarlo.
E mi risposi che no, tutta quella matematica e tutta quella astrazione erano semplicemente parte di un modello, di un paradigma scientifico, di un sistema di pensiero. E che quel modello era perfettamente funzionale a chi deteneva, e detiene, il potere politico e finanziario. E che chi si poneva in modo critico nei confronti di quell'approccio era considerato un deviante, fuori dal tempo, nostalgico di un mondo scomparso. 
Tutto ciò per dire cosa? Semplicemente che il problema non sono "gli economisti" (che sarebbe come dire "gli avvocati" o "i medici"). Il problema è il paradigma, il modello, il quadro di riferimento. Sarebbe ora di una bella rivoluzione scientifica in economia. Sarebbe ora che qualcuno dei devianti, magari di quelli che la crisi l'avevano prevista, salga davvero sul ponte di comando. 
Non avverrà. A nessun governo conviene un deviante come Ministro del Tesoro. Ecco perché l'economia non sarà mai una scienza.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu