giovedì 30 aprile 2009

Vini naturali al Vinitaly?

In un recente post (che potete leggere qui) Franco Ziliani nel suo seguitissimo blog Vinoalvino lancia un avvertimento ai vignaioli "naturali". Attenzione, si legge, la grande industria vuole mettere le mani anche sulla vostra nicchia ed il colpo di mano avverrà attraverso l'inclusione delle fiere alternative nel calderone di Vinitaly.
Premesso che a me, innanzitutto, interessa fare vini buoni, però da tempo frequento il "giro" dei produttori naturali e ad essi vengo spesso, e per certi versi a ragione, accomunato. L'avvertimento, dunque, dovrebbe interessare anche il sottoscritto.
In realtà credo che Ziliani stavolta sbagli. Non so quale sia la sua fonte ma mi pare molto difficile che manifestazioni come Vino, Vino, Vino o VinNatur possano trasferirsi dentro a Vinitaly. Conosco chi le organizza e mi stupirei parecchio. Ma anche se dovesse succedere, non penso che alcuna commistione fra grande industria enologica e artigianato di vigna sia dietro l'angolo. 
Sono troppo ottimista? Può essere. Eppure, se è molto facile per una piccola azienda fare vini seriali, costruiti, tecnicamente perfetti (è ciò che è successo in questi ultimi anni), trovo che sia pressoché impossibile per un colosso enologico fare vini con una identità univoca, casuali, imperfetti in modo geniale, come quelli di molti dei miei colleghi "naturali". Troppe sono le variabili in gioco, non sto ad elencarle, ma una in particolare fa la differenza: il carattere, lo stile, l'approccio, unico ed irripetibile del vignaiolo. 
Di furbetti già pullulano le fiere alternative. Il problema non è questo. Già il fatto che la cosa sia risaputa dimostra che il palato non mente e qualcuno se ne è accorto. Ed è del tutto ovvio che se un settore tira esso diventi appetibile per chi fa business. Mi stupirei del contrario. Il problema, semmai, potrebbe essere quello di una confusione nell'immagine, nella comunicazione, nel marketing. Se non fosse che l'immagine dei vini veri o naturali non è assolutamente univoca né facilmente identificabile. Troppo diversi gli approcci, le filosofie, le culture dei protagonisti: si pensi, solo per fare un esempio, alla differenza fra un bianco macerato di Radikon ed un Trebbiano di Emidio Pepe. Non credo che stare dentro a Vinitaly cambierebbe granché la questione. 
Il punto qual è, allora? Io credo che, alla fine, si torni sempre al buon vecchio Critical Wine di veronelliana memoria. Un produttore che autocertifica il proprio lavoro, un consumatore critico visto come co-produttore, una filiera il più possibile accorciata. A questo punto che si stia in un centro sociale o dentro Vinitaly poco cambia, se non la piacevolezza e l'utilità o meno del luogo. Ma quel che conta davvero sta dentro al bicchiere ed è un mix irripetibile di terroir, naturalezza e passione del vignaiolo. Che intriga non in quanto espressione di una moda o di un gusto, ovviamente passeggeri e sensibili al contesto, ma in quanto espressione di rapporti sociali, culturali, storici. E per questo "veri".   

sabato 25 aprile 2009

martedì 14 aprile 2009

Gustonudo

Sabato e domenica 18 e 19 aprile sarò a Bologna per la terza edizione di Gustonudo, fiera di vignaioli indipendenti, nonché uno dei tanti percorsi nati dall'esperienza fondamentale di Critical Wine. E' una bella manifestazione, organizzata dall'amico Teo Gattoni, oramai a tutti gli effetti distributore di vini buoni e bio. 
Per info su orari, programma ed eventi collaterali visitate il sito www.gustonudo.net.
Porterò in anteprima il Terre Silvate 2008, fresco di imbottigliamento.  

venerdì 10 aprile 2009

Scosse

Non eravamo ancora a cupra nel 1997/8 quando vi fu il terremoto dell'Umbria che fece ingenti danni anche qui. Chi c'era ovviamente lo ricorda con grande angoscia. 
Non abbiamo sentito la scossa del 6 aprile in Abruzzo. Il sonno mio e di Valeria, evidentemente, è in questi giorni davvero profondo. 
Abbiamo, però, sentito distintamente alcune delle scosse successive, in particolare quella di ieri sera. Pur essendo scosse brevi e non intense, movimenti tellurici che provengono da lontano, la sensazione non è affatto piacevole. Specie con due bimbi piccoli. E pure dovremo abituarci. Tutti gli Appennini sono zona sismica e piccole scosse o sciami sismici vengono registrati costantemente. 
La vicenda del sisma abruzzese al di là delle inevitabili polemiche insegna, ancora una volta, quanto noi italiani siamo lontani da una politica della prevenzione e della programmazione. Paesi con grande rischio sismico come il Giappone o la California hanno insegnato che si può convivere con il terremoto. Servono cultura, formazione, risorse, volontà. Serve una più razionale gestione del rapporto coi fenomeni naturali: la solidarietà dopo un evento disastroso è una grande cosa. Ma il risparmio in termini di vite umane e risorse economiche di una adeguata prevenzione è ciò che dovrebbe contraddistinguere un paese progredito. 
I terremoti o le alluvioni non si possono prevedere. Ma abbiamo tutte le informazioni statistiche, geologiche e fisiche per monitorare il rischio e sviluppare politiche conformi a quel dato livello di rischio. Certo, televisivamente parlando fanno più scena gli interventi di emergenza rispetto ad una lenta, costante, silenziosa opera di prevenzione. Ma questo vale, forse, per qualunque tema politico. Il grande annuncio porta sempre più voti del quotidiano impegno. 
E' il consenso, baby. E' il segno delle nostre democrazie.  

 

mercoledì 1 aprile 2009

Sorprese e delusioni

Ne avevo già parlato l’anno scorso. Durante la fiera Pro-wein solitamente vengo invitato ad una cena sempre molto piacevole ed interessante. L’ospite è l’amico Ulf Nilson, svedese, enotecario in zona Colonia ma soprattutto grandissimo appassionato di vini. Durante la cena si degustano una serie di bottiglie anonimizzate su cui ci si scatena in epiche discussioni per giungere il più vicino possibile ad indovinare zona di origine, vitigni presenti ed età del vino in questione. Le bottiglie sono provenienti dalla cantina personale di Ulf che contiene 3000 veri e propri gioielli provenienti da ogni parte del mondo.
Le degustazioni alla cieca sono fondamentali per non lasciarsi influenzare in alcun modo dal marchio, ragionando in modo libero e critico solo sul bicchiere. Le sorprese sono assicurate.
Ecco qualche nota sui vini di quest’anno, in ordine di apparizione sulla tavola:
Cremant de Luxembourg Chardonnay Poll Fabaire. Un metodo classico non particolarmente entusiasmante privo, nonostante l’origine molto nordica, di acidità e freschezza. Champagne Gosset Grand Millesime 1999. Champagne di gran classe da una delle più vecchie maison. Naso complesso e bocca molto morbida considerando il vino. Una gran bella beva. Tocai Friulano Collio Maurizio Princic 1998. Un grande vino dominato da note evolute ed ossidative al naso. Asciutto, complesso, salato e molto lungo. Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Terre Silvate La Distesa 2005. Mi astengo dai commenti. Ulf mi ha fatto un bel regalo già scegliendolo, perché significa proporlo in mezzo a grandi vini. Non l’ho riconosciuto (ho pensato ad uno Chenin blanc della Loira) ma la maggioranza dei commensali l’ha battezzato come Borgogna ed è molto piaciuto. Si pensi alla mia contentezza… Puligny Montrachet 1er cru Buzereau Emonin 2003. Il Borgogna è poi arrivato ed è stata, per me che adoro il Montrachet, una gran delusione. Vino dominato da un rovere eccessivo, con un naso monotono ed una bocca eccessivamente morbida. Certamente c’è anche un problema di annata non esaltante. Gruner Veltliner Wachau Freie Weingartner 2000. Gran bel vino, dalle note minerali di kerosene e pietra, oltre che elegantemente agrumate. Non a caso lo abbiamo scambiato per Riesling. Forse solo un po’ troppo “dolce” per i miei gusti. Mi conferma, però, la grandezza di questo vitigno che ho scoperto l’anno scorso in Austria. Lukase Reserv rod Gute Vingard. Un divertissement di Ulf: uno dei vini più nordici al mondo, proviene da un’isola svedese e da viti ibride (vitis Labrusca). Subito battezzato come vino del nord (pensavamo a qualche vino tedesco), è stato massacrato. Cabernet Dorsa Pfalz Kreutzemberger 2004. Ottimo vino di una zona “calda” della Germania, ottenuto da un incrocio fra Cabernet ed un vitigno locale. Pieno, tannico, originale. Una bella sorpresa da una regione della quale conoscevo già un paio di ottimi produttori di Pinot Nero. Vina Aliaga Navarra Antonio Corpus 2002. Una Grenache che ci ha messo molto in crisi. Vino un po’ stanco al naso, sebbene complesso, e scomposto ed irruente in bocca. Diverse le intuizioni senza fondamento anche se Pietro “Pedro” Majnoni si è avvicinato molto parlando di Languedoc. Pommard Les argillieres Domaine Lejeune 1998. Vino che abbiamo azzeccato. Nulla più che discreto, soprattutto per gli amanti del village in questione. Animalesco il naso, ancora molto dura la bocca. Chissà cosa ne sarebbe stato nel 2019… Ribera del Duero Tinto Pesquera Riserva 1998. Grande sorpresa, un vino elegantissimo, austero, nobile. Ci ha messo in grande difficoltà (io l’ho scambiato per un grande Nebiolo ed invece trattasi di Tempranillo in purezza). Nessuna traccia di legno o di sovra maturazione e invece note elegantissime di tabacco e goudron e rosa. In bocca dritto, asciutto con tannini ben presenti ma fini. Saint Julien Bordeaux Grand Cru Classée Chateau Gruad Larose 1998. Altro vino su cui abbiamo ragionato molto senza granché capirci. Dapprima inquinato da una nota evidente di brett, si è aperto dopo una lunga ossigenazione risultando, però, davvero troppo tannico e duro e con note poco eleganti di frutta matura. Pur con l’alibi di una probabile gioventù, il vino è stato però deludente considerando il blasone. Brunello di Montalcino Riserva Biondi Santi 1980. La delusione della serata, considerando anche il prezzo del vino in questione. Una stilettata al cuore di chi difende il Brunello classico ed il Sangiovese puro. Dapprima un po’ chiuso al naso. Poi si è aperto su note piuttosto classiche e molto piacevoli, floreali e di amarena, ma senza una grande progressione nel bicchiere. Completamente scollegata la bocca, acida e amarognola. Vino corto e senza alcuna dinamica. Duro senza essere austero, acido senza essere minerale. Barolo Borgogno Riserva 1964. Qui ci siamo semplicemente inchinati alla grandezza del Nebiolo. Certamente un po’ stanco ed evoluto, giunto alla fine della sua parabola. Eppure ancora in grado di regalare emozioni con una bocca ricca ed austera, frutto di una acidità vibrante, e con note terziarie raffinate di sottobosco, funghi, cenere, erbe.
Che altro dire? Una serata ancora una volta divertente ed emozionante da cui non si può che imparare.