lunedì 3 gennaio 2011

Razzismi enologici

I vini sono come le persone. Ci sono quelli puntuali e quelli perennemente in ritardo. Ci sono quelli timidi e introversi e quelli solari e simpaticoni. Vini permalosi, orgogliosi, superbi, modesti, eleganti, raffinati, ieratici, spirituali.
Vini tragici e vini comici.
E poi, sì, ci sono vini che han fatto il lifting e vini che sono come mamma li ha fatti. Difetti inclusi.
Io ho sempre pensato che sono i difetti che ci fanno innamorare delle persone. Le piccole imperfezioni di un viso o di un corpo. Un tic. Una camminata strana. Una voce particolare. Un carattere tagliato con l’accetta. Quel qualcosa, qualunque essa sia, che spezza un equilibrio. Che lascia la questione prennemente in sospeso.
Certo, è un’estetica pericolosa, ne sono conscio. E’ l’estetica della devianza più che della norma. Del dionisiaco più che dell’apollineo. Ma è così anche per i vini. Per quelli indimenticabili, intendo.
A me in un vino affascinano l’irrequietezza, la tensione, la complessità. Intendiamoci: quando parlo di difetti non intendo ciò che intendono comunemente i sommeliers professionisti: un sentore di tappo, uno spunto acetico importante, una riduzione senza speranza, fanno parte di esperienze negative a prescindere. Io mi riferisco, invece, ad un più generale e teorico concetto di “deviazione” dal paradigma, dalla corrente principale. Il jazz per la musica classica. Il punk per il rock classico. Il cubismo per l’arte figurativa. Sono esempi di tecniche che spostano l’attenzione. Che irritano. Che innovano. Note “sbagliate” o tratti di pennello incomprensibili da cui emanano, però, emozioni ancestrali e sublimi. Ecco: io amo i vini che mi colpiscono per questo andare controcorrente, per essere irriducibili ad una norma, per rappresentare quell’Unico assolutamente irripetibile che è la combinazione Terra-Vite-Annata-Vignaiolo. Ciò non significa che mi piacciano solo vini estremi, al contrario, apprezzo anche vini “paradigmatici”, vini classici, esattamente come adoro certo mainstream musicale o l’arte figurativa più tradizionale. Ciò che contesto, però, è quella forma di razzismo enologico che si è affermato negli ultimi vent’anni, per cui il vino deve (e non può) essere pulito, stabile, morbido. In una parola: bello, di una bellezza classica, oggettiva, equilibrata.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Complimenti, gran bel pezzo!!!!