lunedì 7 febbraio 2011

Pane e libertà

Pane o libertà? Il mio post precedente citava un report della Fao sul prezzo del cibo, i commenti hanno finito col parlare di libertà. Giusto così. Eppure non riesco a togliermi dalla testa il Manzoni e la rivolta del pane in cui si trova coinvolto Renzo. (Qui il link ad un bel pezzo  che ne parla).
La realtà è che l'ottantanove arabo è qualcosa di straordinario e preoccupante. Ho chiesto di scriverne a Giovanni Bochi, antropologo specializzato in mondo arabo che ha vissuto a Il Cairo, oltre che in Libano e Siria. Queste le sue parole:
"La rivolta democratica e anti-autoritaria che ha investito l’Egitto ha sorpreso molti analisti: a guidarla non sono i Fratelli Musulmani, il gruppo di opposizione più popolare e organizzato, ma le giovani generazioni istruite, frustrate dalla mancanza di libertà civili e dalla cronica disoccupazione. Gli slogan di Piazza Tahrir non hanno come obiettivo Stati Uniti e Israele, quanto il regime di Mubarak, che da trent’anni ha imposto sul paese lo stato di emergenza. Ad accrescere il malcontento, soprattutto fra i ceti popolari, è stato l’aumento dei prezzi alimentari, in un paese che importa larghe quantità di grano dall’estero. Mentre i dimostranti premono per le dimissioni di Mubarak, dietro le quinte prende forma una “transizione morbida” dalla crisi. Protagonista sembra essere il vice-presidente Omar Suleiman, ex-capo dell’intelligence con solide credenziali militari. Questa sembra l’opzione suggerita dalle cancellerie occidentali, per le quali un improvviso vuoto di potere può aprire scenari di caos e radicalizzazione politica sul modello della rivoluzione iraniana del 1979.  In questo senso vanno interpretati i tentativi del regime di riportare il paese alla normalità, con un misto di aperture politiche e repressione: da una parte, Suleiman ha fatto alcune concessioni, aprendo un tavolo di trattative con le opposizioni; dall’altra, continuano gli arresti e le intimidazioni nei confronti di giornalisti e attivisti politici. La variabile indipendente è costituita dalla resistenza del movimento di protesta, nato e cresciuto grazie a Facebook e Twitter. Nessuno dei partiti di opposizione, a partire dai Fratelli Musulmani, sembra infatti in grado di orientarne e controllarne  gli umori. Anche la marginalizzazione e la progressiva uscita di scena di Mubarak, tuttavia, potrebbero non garantire un vero sbocco democratico.  Aldilà della personalità del rais, il regime egiziano si fonda un esteso apparato militare e poliziesco, che ha vaste ramificazioni nella società così come nell’economia. Vera cartina di tornasole della crisi è l’esercito. Fino ad ora, ha assunto una posizione neutrale, che gli ha guadagnato la simpatia dei manifestanti anti-Mubarak e il sostegno implicito dell’amministrazione americana.  Anche l’esercito, tuttavia, è parte integrante del regime egiziano: sotto Mubarak le alte sfere militari hanno beneficiato di molti privilegi, che non sono intenzionati a perdere.  Se le proteste di piazza dovessero intensificarsi, con l’obiettivo di forzare la caduta del regime, allora l’esercito dovrebbe decidere da che parte stare". 

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