martedì 27 novembre 2012

G come Gusto


C’è una matrice comune ad ogni forma estetica dell’oggi, a volerla cercare. E’ l’assoluta preponderanza dell’aspetto tecnologico. Il dominio della tecnica. Così come vengono “costruiti” i cantanti di successo dentro a vere fabbriche della canzone pop che si basano sul digitale e sulla computerizzazione della musica, così si fabbricano i vini attraverso protocolli enologici rigidi ed omologanti incentrati sulla chimica e sulle tecnologie dell’industria alimentare. E’ il vino al tempo della sua riproducibilità tecnica, per dirla con Michel Le Gris. Un vino figlio del suo tempo che si basa su di un gusto omologato. E se per caso il gusto cambia, perché qualche innovatore sposta l’attenzione verso qualcosa di nuovo, che problema c’é? Ci si adegua. Perché qualunque ricetta oggi può essere adeguatamente replicata.
Ma non basta. E’ anche la possibilità di una distribuzione immediata su larga scala, a creare le condizioni per cui tutto deve essere facilmente “consumabile” e comprensibile. E’ la cultura pop, bellezza.
Così un gusto “medio”, paradigmatico, borghese ed innocuo si fa pietra di paragone del bello e del buono. E devianza è ciò che a questo gusto non rassomiglia. Oppure difetto. Al massimo “alternativo”, se si vuol creare una nicchia da spremere.
Ed allora capita che dopo ottomila anni di vinificazioni l’uomo moderno salga in cattedra a dire che cosa sia il vino e di cosa debba sapere. E gli enologi ed i sommeliers prima di tutto cercano il difetto, nel bicchiere, non la fatica dei contadini.

"Non è il vino dell'enologo - Lessico di un vignaiolo che dissente" - ed. DeriveApprodi