sabato 28 aprile 2012

La fabbrica dell'uomo indebitato


Ho appena finito uno di quei libri che ti lasciano col fiato sospeso. No, non è un thriller. Meglio: è un thriller ma non è finzione. Riguarda l'attuale crisi economica, letta con un respiro un pò più ampio rispetto al consueto "serve la crescita!" che ormai risuona a destra come a sinistra.
La fabbrica dell'uomo indebitato (sottotitolo: saggio sulla condizione neoliberista) è un pamphlet filosofico edito da DeriveApprodi che rilegge Marx e Nietzsche, Deleuze/Guattari e Foucault alla luce della nuova grande depressione, analizzando in modo spietato ed eterodosso gli ultimi trent'anni di costruzione del modello economico neoliberista. 
Ne esce un processo di distruzione di alcuni capisaldi della sinistra riformista, così come una interessante indagine sociologica sul debito, sul precariato, sui working poors: in definitiva su un nuovo soggetto sociale tipico della post-mosernità, l'uomo indebitato appunto.
Qualche forzatura c'è, eppure l'analisi nel suo complesso ha una forza notevole, specie nella parte relativa alla moneta ed al ruolo centrale di certo monetarismo nella creazione della economia del debito e di un sistema economico dove, contrariamente al bla bla bla imperante, speculazione finanziaria ed economia reale sono inscindibili e strettamente connessi. Col risultato dirompente di negare il futuro, di riprodurre un eterno status quo, di impedire la libera espressione delle scelte individuali e collettive.

L'economia del debito riconfigura anzitutto il potere sovrano dello Stato, neutralizzando e facendo concorrenza a una delle sue regie prerogative, la sovranità monetaria ovvero il potere di creazione e distruzione della moneta. Negli anni settanta, la finanza ha avviato un processo di privatizzazione della moneta, che si è sviluppato in un secondo tempo e che è, per altro verso, la madre di tutte le privatizzazioni... La moneta scritturale, moneta che si esprime con semplici giochi di scrittura, viene emessa dalle banche private a partire da un debito - debito che in tal modo ne diventa l'intrinseca natura, così da prendere il nome di "moneta debito" o ancora di "moneta credito". Essa non è ricondotta ad alcun parametro materiale, non rimanda ad alcuna sostanza se non alla relazione col debito stesso. Così, con la moneta scritturale, non solo si produce il debito, ma la stessa moneta è "debito" e nient'altro che una relazione di potere tra creditore e debitore. All'interno della zona euro, l'emissione di moneta/debito privato rappresenta il 92,1% del totale della moneta in circolazione nell'aggregato monetario più importante (pag. 110)

Nella sua genealogia e nel suo sviluppo, la crisi dei subprime mostra il funzionamento di un blocco di potere, in cui l'economia "reale", la finanza e lo Stato costituiscono gli ingranaggi di uno stesso dispositivo e di uno stesso progetto politico, che abbiamo chiamato economia del debito. Anche qui, l'economia reale e la speculazione finanziaria sono indivisibili... Il dipendente e l'utente della previdenza sociale devono rispettivamente guadagnare e spendere il meno possibile per ridurre il costo del lavoro e il costo della previdenza sociale, mentre i consumatori devono spendere il più possibile per smaltire la produzione. Ma, nel capitalismo contemporaneo, il dipendente, l'utente e il consumatore finale coincidono. Ed è la finanza a pretendere di risolvere questo paradosso. La crescita economica neoliberista determina differenziali di reddito e di potere sempre più importanti, impoverendo i salariati, gli utenti e una parte della classe media, mentre pretende, dall'altro, di arricchirli, con un meccanismo molto ben esemplificato dai crediti subprime: ridistribuire redditi senza intaccare i profitti, ridistribuire redditi riducendo le imposte (soprattutto ai ricchi e alle imprese), ridistribuire redditi tagliando i salari e le spese sociali. In questa condizione di deflazione salariale e di distruzione di Stato sociale, per arricchire tutti non resta altro che il ricorso al credito. Come funziona questa politica? "Hai un salario basso, non c'è problema! Indebitati per comprare una casa, il suo valore aumenterà e diventerà la garanzia per altri prestiti". Ma non appena aumentano i tassi di interesse, questo meccanismo di "distribuzione" dei redditi - attraverso il debito e la finanza - crolla. (pagg. 122-123) 

Sono solo alcuni brani di un libro del quale consiglio una lettura attenta e approfondita, nonché libera da filtri ideologici. Letto accanto all'ultimo Latouche (Per un'abbondanza frugale - Malintesi e controversie sulla decrescita) è un ulteriore tassello alla riflessione oramai sempre più necessaria sul tramonto del capitalismo (almeno per come lo abbiamo conosciuto).

mercoledì 11 aprile 2012

Facile profeta

Non è mai bello sapere di avere ragione quando in ballo c'è la salute pubblica.
In tempi non sospetti avevo scritto alcuni pezzi: la fine di un mondo, fuori dalla crisi? e ancora il default morale. Anche in questo post, Economisti, brutta razza, avevo inserito qualche riferimento alla realtà degli ultimi anni.
Ieri la borsa ha registrato l'ennesimo crollo ed il famigerato spread negli ultimi giorni è risalito. La disoccupazione è a livelli spaventosi, non passa giorno senza che qualche azienda chiuda, la situazione dei giovani è disperata. In questo contesto, tremendo in Italia ma non certo roseo in Spagna e Francia o Stati Uniti d'America, le politiche economiche nazionali in tutto il mondo vanno verso una direzione opposta a quella che sarebbe richiesta dalla ragione ovvero suggerita da un pizzico di verità storica.
L'esempio del tira e molla sul mercato del lavoro è emblematico: tutti i guru dell'economia a blaterare sulla necessità di una maggiore flessibilità. Nessuno che ricordi, anche solo per onestà intellettuale, che la rigidezza del contratto indeterminato era stata pensata esattamente in termini anti-ciclici, per impedire cioé che durante le crisi i licenziamenti "facili" aumentassero la disoccupazione deprimendo ulteriormente la domanda aggregata. Perché ogni lavoratore è anche un consumatore, no?
Ma Keynes è fuori moda dal 1971. Da quando, cioé, i potenti del mondo hanno iniziato la "grande rapina": le politiche neoliberiste che hanno prodotto i guasti della globalizzazione selvaggia della finanza. Quella per cui continuiamo a regalare soldi alle banche e a quel 1% della popolazione mondiale che detiene il monopolio di una oramai fragilissima pseudo-democrazia globale.
Mario Monti è un onesto professore. Credo che lui e la Fornero siano anche profondamente in buona fede. Hanno ereditato macerie da gente come Bossi, e non c'è da aggiungere altro. Il problema è che questo governo è un protettorato della finanza europea. Semplicemente non si può agire con strumenti che fanno riferimento ad un mondo che non c'è più. Pensando alle società del benessere degli anni passati, ad un "mondo occidentale" sviluppato che vive una crisi passeggera...
Cosa aspettano le sinistre globali a prendere posizione? E' davvero tutto finito? Non ci si accorge che è necessaria una gigantesca ristrutturazione dei debiti sovrani? Che dobbiamo cambiare il modo di pensare l'economia stessa?