giovedì 24 maggio 2012

C'era una volta "Terra e Libertà" - Seconda parte

Terra Libertà/Critical Wine aveva posto tre grandi problemi: l’autocertficazione, il prezzo sorgente, le Denominazioni Comunali. Erano tre giganteschi spunti di riflessione su cui costruire una agenda politica per i prossimi decenni nel mondo del vino italiano: la scomparsa di Gino e l’agonia dei movimenti hanno certamente pesato sulla chiusura del dibattito.
Le divisioni fra produttori e la deriva “commerciale” hanno fatto il resto. Col risultato che le commissioni assaggio DOC bocciano i nostri vini e la nostra reazione “tipo” è: chissenefrega declasso tutto, tanto il vino lo vendo lo stesso. Regalando le denominazioni, che sono beni comuni, agli industriali.

Nel frattempo nelle associazioni “naturali” è all’ordine del giorno il tema delle espulsioni e delle analisi per controllare chi fa il furbo… Tutto bene. Tutto comprensibile.
Però mi chiedo: non eravamo libertari? Non ne avevamo piene le scatole dei controllori e burocrazia? Non c’è il rischio di gossip e delazioni, soprattutto considerando che si tratta di associazioni private e non di enti terzi “super partes”? E’ questo che vogliamo? Una polizia Contadina? 
Non volevamo invece costruire co-produttori, consumatori in grado di discernere l’autentico? E cosa pensiamo di chi magari ha zero residui in un vino ma sfrutta manodopera in nero? E’ naturale? E di chi ha zero residui in un vino prodotto ma spiana una collina per piantarci un vigneto? E’ naturale? E’ controllabile dalla polizia contadina?

Tutto ciò suona folle. Come suona folle la volontà di una ricerca scientifica “privata”. Sono i miliardari, generalmente, a finanziare privatamente la ricerca. E non lo fanno mai a scopo di beneficenza. La ricerca e la scienza devono essere pubbliche e pubblicamente confutabili. Sinceramente apprezzo maggiormente chi fa riferimento ai saperi tradizionali o chi se ne frega della scienza ufficiale e crede nelle forze dello spirito, di chi crede che si possa scoprire chissà quale Santo Graal della fermentazione spontanea.
L’autocertificazione ha fatto una brutta fine ma il prezzo sorgente è finito peggio. E’ talmente sparito il problema dei prezzi dal dibattito che oggi è quasi impossibile trovare vini naturali a prezzi umani. E spesso si trovano più cari nei mercati che sul Mercato. Certo, l’idea così come era nata non era forse granché… Ma da qui a far sparire il problema, ce ne corre.

Le Denominazioni Comunali, in compenso, sono state depotenziate e regalate a un paio di siti e a qualche Comune che ne fa “Testimonianza”. L’idea di Gino era quella di rivoluzionare il sistema delle denominaizioni di origine (sic): non poca la distanza fra la teoria e la prassi, a testimoniare il Vuoto che si apre innanzi a noi proprio nel momento del massimo successo dei vini naturali.

C’è voglia di ricominciare una riflessione su tutto ciò? L’alternativa è semplice: abbiamo dei prodotti richiesti, degli ottimi vini naturali apprezzati da un mercato in crescita. Possiamo fermarci a questo, che è già tanto, tantissimo, in un momento di crisi. Nessuno lo nega.
Ma ci basta? E, soprattutto, basta in prospettiva? Oppure è solo come rinviare una guerra (e intanto l’avversario affina le armi)?

In questo quadro penso che ritrovare una qualche unità sia impresa ardua se non impossibile. L’unica strada, a mio avviso, sarebbe quella di separare definitivamente l’aspetto commerciale (fiere e mercati) dall’aspetto più strettamente politico-culturale. 

Io credo che la tanto vituperata “nicchia” costituisca un ottimo punto di partenza se osservata dal punto di vista di una comunità che si è incontrata sulla strada in questi anni.
Ecco, allora, una prima idea che mi viene per uscire dall’impasse: gli “Stati generali” del vino critico. Un grande momento di aggregazione e socializzazione di esperienze, vissuti, discussioni, ricerche dove mettere assieme tutti i soggetti che a diverso titolo si sono occupati di vino naturale o agricoltura contadina in questo decennio. Non una fiera, ma un grande happening aperto, un momento di riflessione “politica” sul tema. Un grande Critical Wine Forum Europeo, un festival del vino "alternativo", con seminari, discussioni, concerti, assemblee, degustazioni, proiezioni, letture. Un appuntamento annuale in grado di produrre un linguaggio comune, una cultura condivisa, una trasmissione di saperi. Con la prospettiva di aprire una rete nazionale che sia in grado poi di strutturarsi nelle singole regioni attraverso momenti locali di aggregazione.

Il vino non più come “fine” ma come “mezzo”: strumento potente di convivialità ed approfondimento culturale Per parlare di agricoltura e modelli di sviluppo.

Su questa strada – io credo - potremo incontrare soggetti che il vino, per ora, lo hanno solo sfiorato (reti di economia solidale, gruppi di acquisto, circoli culturali, associazioni agricole indipendenti) e pratiche ancora poco usate nel vino come la “garanzia partecipata”, unica risposta davvero alternativa alle certificazioni di qualità.

Rimettersi in discussione, quindi. Ripartire da zero, in un certo senso.

Superare l’idea commerciale di “fiera”, lasciando il commercio alle singole scelte aziendali e muovendosi, invece, a livello aggregato verso una riflessione culturale, filosofica, politica.
In una parola: superare il marketing del “naturale”.
Andare oltre il “vino naturale”.

martedì 22 maggio 2012

C’era una volta “Terra e Libertà” - Parte Prima


Ho passato l’ultimo anno senza partecipare a fiere e mercati con l’intenzione di riflettere un pò sulla questione “vini naturali” o “viticoltura artigiana” o “agricoltura critica”, chiamatela come vi pare. Ovviamente ho le idee più confuse di prima.
Nel frattempo Porthos ha chiuso i battenti, i biodinamici sono tornati al Vinitaly, si moltiplicano le fiere che fanno riferimento all’idea di “naturale o “biologico” o “biodinamico”. Spesso celando interessi o personaggi ben poco chiari.
Da tempo avevo l’impressione che quella grande rivoluzione che all’inizio dello scorso decennio ha innovato fortemente il mondo del vino stesse un pò franando sotto i colpi della reazione industriale. E’ tipico del capitalismo divorare ogni sussulto “alternativo” creando immediatamente gli anticorpi: ci abbiamo fatto l’abitudine. Ciò che stupisce, in qualche modo, è la velocità della reazione. Alcune aziende che solo nel 2002 erano uscite da Vinitaly tentando una qualche forma di alternativa solo dieci anni dopo vi rientrano, e con tutti gli onori della cronaca.
Sia ben chiaro: non ho nulla contro la partecipazione al Vinitaly di una azienda commerciale. L’ho fatto anche io e magari lo farò ancora.
Quello che stupisce sono le modalità: il grande ritorno non avviene singolarmente ma in gruppo, attraverso l’immagine di un movimento, o perlomeno di una sua parte. Questo è avvenuto senza alcun tipo di dibattito, di elaborazione, di partecipazione.
Sono il primo a congratularmi del successo commerciale di ViViT. Ma certo d’ora innanzi, a mio avviso, niente sarà più come prima. I due grandi filoni del nostro movimento, infatti, Vini Veri e Critical Wine condividevano almeno una cosa: che Vinitaly non era il luogo adatto per parlare di agricoltura contadina. Poi vennero Vinnatur, la TriplaA e compagnia bella. Ma l’intuizione iniziale restava piuttosto chiara: la rivoluzione del vino passava attraverso una critica culturale all’egemonia dei grandi gruppi industriali. Quelli che fanno le leggi, quelli che fanno i disciplinari, quelli che indirizzano il mercato.
In questo decennio le contaminazioni da noi portate, attraverso le fiere, i mercati, le assemblee ma anche attraverso i pezzi di movimento che ci sono stati a fianco, hanno seminato idee e pratiche nuove ma, ciò che è più importante, hanno educato un’intera fascia di cittadini co-produttori ad un nuovo modo di avvicinare il vino.
Senza tutto questo il famigerato claim “vino naturale” non avrebbe avuto il successo che giustamente ha. Di fatto abbiamo “creato” un mercato. Quello stesso “mercato” che ora distributori, agenti, rappresentanti, giornalisti, ecc. reclamano come fosse un proprio orticello: dieci anni fa era relegato ai margini. Ci sono voluti gli sforzi e le scelte spesso difficili di molti di noi, le intuizioni di un Gino Veronelli o di un Sandro Sangiorgi, l’impegno dei tanti che si sono sbattuti quando eravamo una minuscola nicchia di gente “strana”.
Ecco perché io credo che quando si fanno delle scelte che chiamano in causa un intero  movimento si debba pensare a questo “capitale sociale”, a questa credibilità collettiva, a questa “comunità” che si erano andati costruendo nel tempo.
Conosco perfettamente i ragionamenti fatti in questi mesi: l’uscire dalla nicchia, il parlare ad una platea più ampia, la voglia di crescere economicamente. Sono pure d’accordo, in linea di principio. Senza reddito l’agricoltura contadina è destinata a scomparire. Senza reddito, non ci può essere il ritorno alla terra che auspichiamo.
Il punto è: non eravamo già usciti dalla nicchia? Se vado in America, nelle liste di vino dei migliori ristoranti vedo un sacco di vini del “nostro giro”; in Giappone è boom di vini naturali; non c’è azienda che non abbia importatori in giro per il mondo; sui blog come sulle riviste mainstream non si parla d’altro che di biodinamica o di naturalità.
Non è che adesso vogliamo andare oltre? Che si vuole crescere e crescere e crescere e produrre di più e vendere di più, alla faccia di Latouche e della artigianalità?
Se, infatti, penso oggi ai “vini naturali” penso innanzitutto ad una grandissima operazione di marketing che ha creato un potentissimo strumento di attrazione commerciale. Un claim che mette assieme modernità e tradizione ma il cui potenziale è divenuto solo ed esclusivamente commerciale.
Il vino si deve anche vendere, si dice. La mia impressione è che ormai siamo arrivati (o tornati) al punto in cui “il vino si deve solo vendere”.
E allora qual è la differenza fra noi e gli altri? Non può essere semplicemente la sostenibilità o l’attenzione alla salute dei consumatori. Qui, nel giro di vent’anni, arriveranno tutti, volenti o nolenti. Il punto, semmai, è “come”.
La nuova legge sul biologico ci racconta il “come” ci si arriverà.
Aver abbassato la guardia sui contenuti culturali e politici ci rende vulnerabili e incapaci di trovare risposte. A breve saremo invasi da vini biologici con 150 mg/lt. di solforosa, enzimi e tannini enologici. E però… Tutti contenti al Vinitaly a spiegare che noi siamo diversi

A breve la seconda parte del ragionamento.

martedì 8 maggio 2012

Trent'anni fa


Gillesvilleneuve.jpg
L'8 maggio 1982 se ne andava Gilles. La Formula1, dopo, non è stata mai più la stessa cosa.

sabato 5 maggio 2012

Primavera a Cupramontana

Passeggiando nel vigneto di San Michele in una spettacolare giornata di primavera.