lunedì 12 agosto 2013

Quello che non ci dicono

Sono stato un europeista euro-scettico fin dall'inizio.
Ho seguito dai banchi dell'università la fase finale della costruzione della moneta unica, da Maastricht fino all'entrata nella zona Euro. E Lavoravo in banca nelle giornate in cui venne fissato il tasso di cambio Euro/Lira, sotto il Governo Prodi. Ero nei miei vent'anni.
Già allora, però, il segno monetarista e neo-mercantilista di quegli accordi mi pareva inequivocabile, così come mi appariva strettissimo il sentiero che l'Italia aveva da compiere per restare nei parametri imposti da quegli accordi europei.
Con i "se" ed i "ma" la Storia non si può fare. Nessuno può avere la certezza di come sarebbe andata senza quei governi Berlusconi che nel primo decennio del duemila hanno deragliato dal percorso, giusto o sbagliato che fosse, di convergenza e risanamento che aveva in Carlo Azeglio Ciampi la sua guida.
La sensazione è che ormai sia tardi. La convergenza dell'area Euro - che era la condizione per la sopravvivenza dell'Euro - è ormai devastata dalla politica della Germania. A settembre, in caso di una vittoria di Angela Merkel, il percorso subirà un ulteriore tracollo.
In questo ottimo paper si possono ritrovare molti dei ragionamenti che gli economisti mainstream non fanno: http://memmt.info/site/wp-content/uploads/2012/08/bilancia-dei-pagamenti-italiana.pdf

Il punto fondamentale è che l'austerità e la politica di svalutazione interna richieste dalla Troika ai paesi "periferici" stanno uccidendo questi paesi sulla base di una premessa sostanzialmente errata: cioé che i problemi di sostenibilità dell'Euro siano i debiti pubblici e i deficits. In realtà gli squilibri stanno nelle bilance dei pagamenti dell'Eurozona: si assiste ad un vero e proprio flusso di capitali dai paesi periferici alla Germania in virtù dell'enorme avanzo commerciale tedesco legato alla rigidità del cambio da un lato  e alla impossibilità di una politica monetaria autonoma dei singoli paesi (tale da consentire una monetizzazione del debito) da parte dei paesi "in crisi" (che oramai - visto dove sta andando l'Olanda - stanno divenendo tutti i paesi europei salvo la Germania!)
Ecco alcune lucide considerazioni del paper, che nasce all'interno della riflessione teorica della Modern Money Theory:

"L’attenzione dei policymaker europei, in questi mesi, è stata però tutta rivolta ai debiti pubblici dei Paesi meridionali, noti anche con l’acronimo di PIIGS (Portogallo-Italia-Irlanda-Grecia-Spagna).
Le politiche condotte in Italia e negli altri Paesi mediterranei sono state tutte improntate all’austerità, alla riduzione forzata dei disavanzi pubblici mediante il ricorso a tagli alla spesa pubblica.
Tuttavia, è necessario riconoscere che se il vero problema dei Paesi europei fosse il rapporto debito/PIL, e se fosse davvero questo l’elemento considerato rilevante dai mercati finanziari, non si comprenderebbe perché Paesi come Gran Bretagna e Germania, il cui rapporto debito/PIL sfiora l’80% ed è quindi ben superiore al 68,5% spagnolo, non siano stati messi sotto attacco da parte degli investitori internazionali. È chiaro, quindi, che i veri problemi dell’Eurozona siano principalmente due: innanzitutto, gli squilibri strutturali delle bilance dei pagamenti, analizzate in precedenza, e in secondo luogo l’avversione delle strutture politiche europee a far sì che la BCE possa monetizzare i debiti sovrani dei Paesi membri, affinché essi possano reagire adeguatamente agli squilibri esistenti nei tassi di cambio reali all’interno dell’Eurozona. Senza politiche di riassestamento dei tassi di cambio reali dentro l’Eurozona, l’unione monetaria non ha alcuna speranza di continuare ad esistere".

"La linea politica seguita dall’establishment europeo è però quanto di più lontano si possa immaginare da simili interventi. Con riferimento all’Italia, l’introduzione del vincolo di pareggio di bilancio in Costituzione e la ratifica del Fiscal Compact, lo spazio di manovra del settore pubblico è totalmente neutralizzato.
Il trattato, infatti, impone un rigidissimo vincolo ai disavanzi dei Paesi membri, limitandone forzatamente l’entità allo 0,5% del PIL, e richiede il raggiungimento di un obiettivo che avrà senza ombra di dubbio natura recessiva, ovvero la convergenza nel tempo verso un rapporto debito/PIL del 60%. Il provvedimento, perciò, non centra minimamente l’origine delle divergenze esistenti fra i Paesi dell’Eurozona, ovvero gli squilibri della bilancia dei pagamenti dell’Eurozona, non opportunamente coperti da una Banca Centrale sovrana. Essa sarebbe in grado di monetizzare i disavanzi pubblici dei Paesi membri, ed operare al fine di stabilizzare i tassi d’interesse dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. Questa linea politica perciò neutralizza anche le uniche possibilità di soluzione, che devono passare necessariamente per il settore pubblico".

"Le politiche implementate in questi mesi dai governi dei Paesi europei, fra cui quello italiano, sono
state tutte improntate alla progettazione di riforme del mercato del lavoro volte a ridurre i salari per aumentare la competitività delle esportazioni. Anche ove fosse possibile recuperare in tal modo un gap di competitività quasi insanabile con le economie dell’Europa centrale, ad esempio quella tedesca, questa linea soffre di una grave fallacia di composizione: pensare di applicare con successo una politica di deflazione competitiva di stampo tedesco a tutti i Paesi dell’Eurozona è errato, poiché non si tiene conto delle caratteristiche della struttura produttiva dei singoli Paesi. Come sostiene infatti Sergio Cesaratto in un articolo per Sbilanciamoci.info, “una banca centrale volta al controllo dei salari e il coinvolgimento dei sindacati nel modello mercantilista conducono a disciplina sociale e moderazione salariale necessari a conservare i vantaggi competitivi”: ed è su questo modello, adottato in primis dalla Bundesbank, che è stata progettata la Banca Centrale Europea. Inoltre, è pressoché impossibile che ogni Paese membro dell’Eurozona possa usufruire di surplus commerciali, ed è perciò controproducente sperare che ogni Paese adotti simili politiche di tipo neomercantilista".

"L’utilizzo intelligente della spesa pubblica è, alla luce della congiuntura in cui versa l’Eurozona,
l’unico possibile fattore di ripresa dell’economia interna, e l’unico modo per evitare una catastrofe
altrimenti certa. Le strade percorribili sono diverse, sia che si parli di ritorno alle monete nazionali,
con la possibilità di gestire autonomamente la politica fiscale e la politica monetaria (che sono ora rigidamente separate, nell’assetto istituzionale europeo), sia nel caso di un New Deal europeo, che passi necessariamente per un radicale abbattimento delle politiche deflazionistiche e recessive sinora praticate dalla Banca Centrale. In entrambi i casi, tutto ciò passa necessariamente per la pianificazione di disavanzi “buoni”, come ci ricordano la Modern Money Theory ed il Circuitismo: un sostegno sia al lato della domanda che a quello dell’offerta che si traduce nell’orientamento alla piena occupazione, alla costituzione di stock di risorse utili e produttive".

"In fondo, per parafrasare uno dei mantra più ricorrenti nei media europei (capovolgendolo), si può
perciò affermare che non esiste crescita per mezzo del rigore, e che con il rigore non vi è alcuna
possibilità di crescita".

Quello che la pseudo-sinistra europea non capisce, perché fondamentalmente non è più "sinistra" in senso storico, è che la costruzione europea ha sbagliato totalmente strada. L'Euro sta devastando il modello sociale europeo. Precariato, disoccupazione giovanile, squilibri finanziari, nuovi nazionalismi. Forse è giunto il momento di dire basta.

PS Come il mainstream economico MontiStyle racconta balle: ieri titoli a nove colonne "Lo spread ai minimi, risale la fiducia nell'Italia". Lo spread è effettivamente sceso negli ultimi tempi ma anche perché i tassi tedeschi sono risaliti a causa dell'instabilità relativa alle prossime elezioni e ad una economia tedesca che per qualcuno sta iniziando a frenare...