mercoledì 27 agosto 2014

Lieviti, lieviti e ancora lieviti

Ho seguito un po' l'ennesimo dibattito girato in rete sui lieviti selezionati, questa volta proveniente dal giro Slowine: qui l'articolo di Gariglio e qui l'articolo del bravo Fabio Pracchia.
Si tratta di un dibattito ormai stantio dove difficilmente si riuscirà a trovare una quadra fra sostenitori della moderna enologia più spinta ed esaltati provocatori del vino naturale. Sulla questione lieviti ho sempre avuto una visione laica che mi trova d'accordo con alcuni spunti sia di Gariglio che di Pracchia (per chi non avesse voglia di approfondire tutte le loro argomentazioni e i vari thread che si sono da lì dipanati valga questa sintesi brutale: molto peggio del lievito selezionato sono altre cose nell'omologare il vino).
Non riesco, però, a liberarmi dalla sensazione per cui, dato che lo scontro diretto e frontale con il "movimento del vino naturale" non ha pagato e anzi non ha fatto altro che sviluppare maggiormente l'interesse per il movimento stesso, allora si provano metodi più sottili di comunicazione. Diversivi, diciamo.

Nessun problema, se non fosse che poi escono un po' delle forzature.
Tipo che il 98% dei vini bianchi si fa coi lieviti selezionati. Sarebbe il caso di dire il 98% dei vini. Punto. Eppure in Borgogna la quasi totalità dei grandi bianchi è fatta con lieviti indigeni. Vogliamo dire anche questo?
Tipo che non esiste il concetto di lievito autoctono.
Tipo che i soli lieviti dell'uva sono pochi e non farebbero terminare una fermentazione o la farebbero andare in malora (che è una variante dell'ormai famigerato e falso "il vino in natura non esiste perché l'uva diventa naturalmente aceto).
Eccetera.

Ma è quando si scende nel tecnico che poi casca l'asino.
Nel pezzo di Maurizio Gily citato ad esempio (http://www.gily.it/articoli/Vino%20e%20lieviti.pdf) si fa una lunga e gustosa comparazione fra "protocolli" dicendo ciò che già si sa, cioé che non è tanto un problema di lievito selezionato ma piuttosto di "substrati" (es. condizioni di azoto - e dunque bisogna aggiungere composti azotati in fermentazione?) e di "enzimi" (e quindi bisogna aggiungere enzimi esogeni per far esprimere al lievito determinati aromi?) e di "condizioni" (es. le basse temperature di fermentazione oppure l'assenza totale di ossigeno lungo tutte le fasi della vinificazione?).
E allora - scusate! - ma è un po' un girare la frittata, dialetticamente parlando: si dice che non è colpa del lievito selezionato ma poi si scopre che è "tutto il pacchetto" (dell'enologo, si intende).

Quindi certo quel che senti quando senti la banana (o il passion fruit...), per riprendere Gariglio, non sarà forse IL lievito selezionato, ma IL lievito selezionato fatto lavorare in certe condizioni (con i giusti substrati, i giusti enzimi, le giuste temperature, dal giusto enologo).
Cosa cambia?
Di cosa stiamo a parlare?
La domanda provocatoria di Fabio Pracchia "Omologa di più il lievito selezionato o il consulente enologo?" è insomma domanda tautologica, sebbene molto puntuta e intelligente, perché il consulente enologo oltre a fare tutto ciò che Pracchia enumera in vigna e in cantina, generalmente usa anche sempre un certo lievito fatto lavorare dentro a a certi substrati all'interno di certi parametri. E questo non omologa né più né meno di una marca di barriques o di un sesto d'impianto: ne è semplicemente il completamento, la finale pietra di volta.

Sono d'accordo: la questione lieviti non è il solo problema ed è questione tutt'altro che semplice (dissento anche io dai banalizzatori di certo vin naturel) ma ciò non toglie che la questione della fermentazione spontanea (più o meno controllata) sia la fondamentale discriminante (per me!) fra artigianato e industria, fra terroir e varietà, tra vigna e cantina.
Serve coraggio, è vero. Come in tutte le scelte vere della vita.

sabato 16 agosto 2014

L'annata 2014, per ora.

Un'annata veramente difficile, strana, nervosa.
Iniziata con un inverno dimezzato ed un conseguente anticipo di fioritura che lasciava presagire una vendemmia anticipata e proseguita con una primavera calda ma piovosissima (dati ASSAM qui), addirittura la più piovosa primavera (marzo-maggio) dal 1961 ad oggi. Specialmente il mese di maggio con il 130% in più di precipitazioni rispetto alla media 1961-2000 ha portato la pressione della peronospera a livelli molto intensi.
Non solo.
Grandinate e bombe d'acqua si sono date il cambio fino agli ultimi giorni di luglio. In particolare, aspettando i dati ufficiali, luglio è stato un mese veramente pesante: umidità e piogge hanno creato condizioni ideali per le malattie fungine con un'alternarsi di condizioni per oidio e peronospera.
Mai era capitato di avere pareti fogliari così fiorenti e selvagge con una continua produzione di femminelle, apici e polloni. 
Vediamo come evolverà agosto ma ad oggi nei nostri vigneti certamente soffriamo parecchio a San Paolo (il nome contrada Battinebbia è già tutto un programma) mentre si resiste a San Michele che come sempre pare godere di annate fresche e piovose: qua e là uva meravigliosa davvero con gli unici veri problemi sul Montepulciano nuovo della vigna ad alberello.
Ora il problema della maturazione. Caldo non ce n'è e il sottosuolo è gonfio d'acqua. C'è da capire come si muoverà l'accumulo degli zuccheri e come matureranno le bucce e i vinaccioli in un'annata che si preannuncia decisamente "verde".