martedì 28 aprile 2015

Il vino naturale e la musica alternativa

Oggi alla radio hanno passato Sunday bloody sunday.
Era tipo anni che non l'ascoltavo. Perlomeno che non la ascoltavo bene, guidando, in auto, su una strada tutta curve come sanno esserlo solo alcune strade perse nei crinali delle colline marchigiane.
E così, ascoltando quella batteria scatolosa, quella voce da ventenne incazzato col mondo, quella chitarra sbilenca e dal suono gracchiante, mi è venuto da pensare che mentre nel vino c'è stata e c'è tuttora una profonda riflessione sui modi della coltivazione e della vinificazione - cioé sul come si produce - questa riflessione è molto mancata nel mondo della musica rock indipendente e alternativa degli ultimi anni.
Sono uscite un sacco di cose belle, un sacco di cose innovative, si sono ascoltate tante parole sull'indie, sull'alternative, sempre in opposizione ad un misterioso mondo mainstream... Eppure una seria e approfondita riflessione estetica su cosa sia registrare - quindi produrre più che distribuire - un disco "autentico" oggi, negli anni dieci del duemila, io non l'ho letta o ascoltata.
I dischi, anche quelli "indie", anche quelli alternativi, suonano tutti "impostati", "costruiti", "indirizzati", quasi ci fosse un gusto omologato che in qualche modo domina l'approccio estetico del musicista genericamente rock del terzo millennio.
Forse son solo io.
Forse è un'impressione sbagliata.
Eppure mi pare di percepire tante pose, tanti atteggiamenti, tante costruzioni che mi fan pensare più agli enologi dell'industria del vino che ai vignaioli naturali della Loira (tanto per fare un esempio).
Insomma. La Sunday bloody sunday ascoltata oggi mi è parsa di una sconvolgente modernità.