domenica 20 agosto 2017

Vendemmia 2017. Un'annata di svolta.

Ieri si è cominciato a raccogliere qualche grappolo. Inutile ricordare che il 19 agosto nei Castelli di Jesi fino a qualche anno fa era impensabile vendemmiare. Nemmeno si facevano le campionature, per la verità. Generalmente si cominciava con le basi spumanti nella prima quindicina di settembre.
La cosa incredibile è che questa annata non verrà ricordata solo per la canicola estiva. L'intera dinamica è stata "storta", con inverno e primavera caldi; con una incredibile gelata tardiva (-2 gradi il 22/23 di aprile); con 2 grandinate il 25 giugno ed il 14 luglio; con una siccità in giugno, luglio e agosto che davvero ha pochi precedenti.
Il singolo evento "sfortunato" in campagna è sempre capitato. Sono gli eventi estremi ciclici e ripetitivi, come quelli cui stiamo assistendo, che ci fanno toccare con mano ciò che le teorie - fisiche e biologiche - già ci avevano predetto: il cambio epocale dei nostri climi, delle nostre stagioni e, dunque, in definitiva, dei nostri terroirs. Non si tratta più di stagioni strane o particolari: si tratta della normalità con cui avremo a che fare nei prossimi anni. Inutile piangere, sbagliato farsi trovare impreparati.
Da questo punto di vista l'annata 2017, a differenza della 2003, della 2007 o della coppia 2011 e 2012, che in qualche modo le sono simili, è l'occasione da una parte per mettere alla prova ciò che abbiamo imparato; dall'altra costituirà una sorta di anno zero per il lavoro che ci aspetterà nel futuro.
Due sono le considerazioni che in questa estate mi sono venute in mente:

1) Il nostro lavoro di vignaioli, di fronte a quello che sta succedendo, sarà sempre più quello di tutori del suolo e custodi della sostanza organica. Più che produrre uva da vino, saremo baluardo contro la desertificazione. Tutto il resto - di fronte a ciò che sta succedendo - mi sembra irrilevante e riduttivo.

2) Mi colpisce sempre più la sostanziale incapacità della "scienza agronomica", quella delle Università, di aiutare i viticoltori di fronte ad eventi cui si era preparati da tempo. In questo senso - ma è solo un esempio - l'effetto nefasto delle selezioni clonali degli ultimi vent'anni mostrano il disastro intellettuale, prima che economico, cui si è andato incontro. Se a ciò si aggiunge la programmazione "politica" che ha portato ad espianti di gran parte del patrimonio di vigne vecchie - le uniche che stanno rispondendo in modo positivo alla siccità ed alla calura - viene da chiedersi cosa sarà di noi fra cinquant'anni...

3) Noi viticoltori "naturali", in virtù del lavoro sul suolo fatto, di una concezione non produttivistica della pianta-vite, di una visione olistica dell'ecosistema vigneto e della fisiologia della pianta, siamo pronti alla sfida. Non sarà annata del secolo e nemmeno del decennio. Sarà un'annata dalla quale imparare, ancora una volta, qualcosa del nostro stare in un terroir.

Portiamola a casa!